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6 de julio de 2016

L’attacco alle banche,essere timidi non serve


L’attacco alle banche,
essere timidi non serve



di Daniele Manca  


L’Italia è tornata a essere il malato d’Europa? Le cronache finanziarie raccontano di indici di Borsa in caduta, investitori e risparmiatori che giorno dopo giorno paiono interessati solo a liberarsi dei titoli bancari e segnatamente delle azioni di alcuni istituti di credito come il Monte dei Paschi. A leggere poi, i titoli di alcuni grandi quotidiani internazionali, i problemi dell’instabilità creata dal voto inglese e dalla Brexit, sembrano essere l’Italia e le sue banche, con i crediti incagliati che non riescono a riprendere dai clienti in difficoltà, genericamente indicati come “sofferenze”. La debolezza strutturale del nostro Paese è nota. Abbiamo un debito molto elevato, ad aprile aveva superato quota 2.230 miliardi. Cresciamo poco. E quel poco è anche in decelerazione come ci ha ricordato ieri l’Istat dopo aver già ridotto all’1,1% le stime di crescita previste originariamente all’1,4%, contro una previsione del governo dell’1,2%. E questo senza che l’istituto nazionale di statistica abbia considerato gli effetti del voto inglese. La Confindustria, che l’ha fatto, ha tagliato le stime allo 0,8%.


   
È per questo che altri Paesi che crescono di più e hanno meno debito, come la Spagna, paiono aver assorbito meglio il colpo. Ma perché attaccare le banche italiane? Per chi di mestiere fa quello di comprare e vendere tentando di anticipare possibili avvenimenti futuri, è stato quasi naturale farlo. Il cocktail che si presentava era perfetto. Con l’ombrello della Banca centrale europea che continua a comprare titoli di Stato (il «Quantitative easing», gli stimoli all’economia), tentare di guadagnare direttamente sullo spread tra i nostri Btp e quelli tedeschi è impossibile. Le banche che hanno molti titoli di Stato in pancia sono diventate un qualcosa dal quale allontanarsi. Con un elemento in più. Alcuni degli istituti italiani hanno molte «sofferenze». Avere in pancia molte sofferenze (che va ricordato in tanti casi riguardano aziende in difficoltà o famiglie che non riescono a restituire i crediti) significa non riuscire a garantirsi sufficienti profitti, avere necessità di nuovo capitale. È per questo che tra chi deve vigilare sulla solidità degli istituti (le autorità centrali) e le banche si innescano trattative affinché quelle considerate in bilico possono rimediare. In questa situazione c’è sicuramente l’italiana Mps ma anche altre banche europee.




La Brexit ha creato una situazione di forte instabilità e incertezza. È vero che al momento la Gran Bretagna non ha richiesto l’uscita dall’Europa (in base all’articolo 50 del Trattato di Lisbona sul recesso volontario di un Paese dall’Unione) e quindi le regole restano immutate. Ma a settembre, quando ci sarà il nuovo leader dei Conservatori inglesi questo potrà o dovrà accadere. Si potrebbero verificare i cosiddetti «scenari avversi», quelli in base ai quali i regolatori internazionali, vale a dire l’Eba, l’istituto impegnato nel garantire la stabilità finanziaria e che ha sede a Londra, testa la solidità delle banche. Ebbene, alcune di esse potrebbero non riuscire a garantirsi i profitti sufficienti per essere operativi. Due banche europee, la tedesca Deutsche Bank e lo spagnolo Santander, a fine giugno non hanno superato gli stress test negli Stati Uniti. I risultati di quelli della Ue arriveranno a fine luglio. Ma lo scenario nevrotico che in questi giorni sta caratterizzando il mercato la dice lunga sulla percezione del nostro Paese. È innegabile che siano stati fatti passi in avanti proprio in campo bancario (la riforma delle popolari e degli istituti di credito cooperativo). Che si stia procedendo a un consolidamento virtuoso (l’unione tra Banco Popolare e Bpm). La creazione del fondo privato Atlante con un intervento parziale della Cassa depositi e prestiti ha evitato la deriva su due istituti come Popolare vicentina e Veneto Banca.

L’Italia sta però pagando ritardi e rinvii, oltre che la non comprensione di quanto dietro, o meglio attaccati alle banche, ci siano milioni di famiglie e imprese. Le difficoltà di un istituto si riverberano immediatamente su di esse. Quando si parla di sofferenze, si sta parlando di questo. Il caso Mps è emblematico. Crediti tenuti in bilancio al 40 per cento del loro valore, il mercato li valuta la metà. E questo anche per una giustizia civile che rende lunghissimo il recupero di quei crediti, per un catasto (molti di quei crediti sono a fronte di immobili e capannoni) inefficiente. Vendere quelle sofferenze oggi significherebbe realizzare nuove perdite, avere bisogno di nuovi capitali. Il mercato, la speculazione, queste cose le sa. Lo sa anche l’Europa, con la quale stiamo trattando sulle regole, ma non pare disposta a mediare, incurante del fatto che alcuni focolai possano diventare un incendio. Quasi che la lezione greca non avesse insegnato nulla. L’Italia avrebbe bisogno di più tempo. Ma anche di molte meno timidezze.

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