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9 de marzo de 2019

Banche, il ritorno del «gold standard»: l’oro nei bilanci diventa moneta


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I Paesi che hanno rimpatriato l'oro dall'estero riconquistandone il controllo e la gestione si sentono già al riparo dal rischio di trovarsi dopo il 29 marzo a corto d'oro fisico da mettere a disposizione delle proprie banche in caso volessero sostituirlo ai bond sovrani. Nell'arsenale del sistema, c'è un montagna d'oro da 33mila tonnellate metriche d'oro che vale 1.400 miliardi di dollari al cambio attuale. E che rappresenta il 20% di tutto l'oro estratto nel mondo in quasi 3mila anni. Come al solito, i Paesi più lungimiranti e prudenti - o forse i meglio informati sulla svolta di fine marzo, sono stati la Germania, l'Olanda, l'Austria, la Francia, la Svizzera e il Belgio, ma anche la Polonia, la Romania e l'Ungheria hanno ripreso il controllo delle riserve auree aumentandone anche la consistenza. Cina, Russia, India e Turchia sono state invece le nazioni che hanno comprato oro negli ultimi due anni più di chiunque altro, con Mosca che ha addirittura liquidato l'intero portafoglio in titoli di Stato americani per sostituirli con il metallo prezioso. Ma il problema non è questo: è sul prezzo dell’oro che i conti non tornano.
Nel 2018, ben 641 tonnellate di lingotti d'oro sono stati acquistati dalle autorità monetarie di ogni continente, ma soprattutto in Europa: è il livello più alto dal 1971. La manovra non ha precedenti e va inquadrata nel fenomeno dei rimpatri di lingotti di Stato affidati in custodia.  Settemila tonnellate di riserve aure sono state ritirate dalle banche centrali dai forzieri della Federal Reserve di New York, mentre 400 tonnellate sono uscite in gran segreto dalla Banca d'Inghilterra. Negli ultimi anni, ma soprattutto nel 2018, un balzo del prezzo dell’oro sarebbe stato nell’ordine delle cose. Al contrario, l’oro ha chiuso l’anno scorso con un ribasso complessivo del 7% e un rendimento finanziario negativo. Come si spiega?
Mentre le banche centrali rastrellavano dietro le quinte lingotti d’oro “vero”, allo stesso spingevano e coordinavano l’offerta di centinaia di tonnellate di “oro sintetico” sui listini di Londra e New York, dove avviene il 90% delle contrattazioni sui metalli preziosi: l’eccesso d’offerta di derivati sull’oro serviva ovviamente per buttarne giù il prezzo, costringendo gli investitori a liquidare le posizioni per limitare le forti perdite accumulate sui futures. Così, più il prezzo dei futures scendeva più gli investitori vendevano “oro sintetico”, innescando spirali ribassiste sfruttate dalle banche centrali per comprare oro fisico a prezzi sempre più bassi. Con buona pace di chi guarda all’oro come a un rifugio sicuro. Cina, India, Russia e Turchia, ha praticamente raddoppiato le riserve auree negli ultimi cinque anni con questo sistema. Mosca, per comprare oro, ha persino venduto l’ultimo 20% di titoli di Stato americani che aveva nelle riserve valutarie.
Quanto è compatibile una situazione del genere con i doveri di correttezza e trasparenza di una banca centrale? Di sicuro, il sistema creato dai «Goldfinger» anglo-americani sembra davvero fatto apposta per gli abusi. Chissà che accadrà dopo il 29 marzo...
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